Un po’ di tempo fa ho scritto un fortunato post dedicato agli stili di vita dal mondo e alle filosofie del benessere e della felicità. Sono partita dal concetto di Hygge, che dalla Danimarca è diventato famoso in tutto il mondo come una sorta di segreto per vivere bene. Già all’epoca quello era solo il più noto ma si parlava già di Sisu, Lagom e di altri termini affascinanti provenienti dal nord Europa, dall’estremo Oriente, dal sud-est asiatico. Se non avete letto quel post in passato, vi consiglio di fermarvi qui e di andare a recuperarlo: Non solo Hygge.
Bene, ora possiamo andare avanti. Perché nel frattempo si sono fatti strada tanti altri termini affascinanti provenienti da culture lontane e vicine, più o meno diverse dalla nostra. Sono tutte parole che racchiudono mondi interi e modi di vivere e da ciascuno possiamo prendere spunto per migliorare il nostro modo di vivere.
Parleremo di 8 diversi stili di vita dal mondo, concetti legati al benessere interiore e alla felicità che provengono dal Giappone e dalla Corea, dalla Cina, dall’India e poi dalla Svezia, dall’Africa, dalla Grecia e dalle Hawaii. Mettetevi comodi e partiamo per questo viaggio insieme.
Stili di vita dal mondo, filosofie del benessere interiore e di ricerca della felicità
Sono partita da un libro che ho sfogliato in una libreria milanese (Feltrinelli in Stazione Centrale a Milano) parecchio tempo fa; si trattava di un volume sulla cultura giapponese e in quel momento mi si è accesa subito una lampadina.
Come sono solita fare, da lì ho fatto una lunga ricerca sul web e su cataloghi di libri online a caccia di informazioni sui concetti contenuti su quel libro e su altri affini provenienti da vari Paesi nel mondo.
Il risultato di quella ricerca è questo post sugli stili di vita dal mondo e probabilmente anche un altro post (o più di uno) che pubblicherò in futuro. Non si finisce mai di scoprire e imparare cose nuove e la mia curiosità mi porta a voler sapere sempre di più, ad approfondire. Per questo sono certa che tornerò qui ad aggiornare questa pagina con nuovi dettagli e spunti.
Ubuntu: la connessione tra tutti gli esseri umani
Ubuntu è uno stile di vita dal quale tutti noi possiamo imparare. In Africa è presente nelle lingue bantu, xhosa e zulu e compare in molte culture del continente; è considerato un concetto filosofico cardine fondato sul legame universale che ci unisce in quanto esseri umani. Ed è stata la filosofia a ispirare la lotta all’apartheid, non intrapresa contro i bianchi ma a favore di tutti i sudafricani perché potessero essere trattati come pari.
L’Ubuntu si realizza quando entriamo in sintonia con altre persone e condividiamo un senso di umanità, quando percepiamo un legame emotivo, quando trattiamo noi stessi e gli altri con la dignità che ciascuno merita. Riconosce il valore interiore di ogni essere umano a partire da noi stessi.
Non si tratta semplicemente di gentilezza o del non fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi ma più di un contatto vivo tra individui, di empatia, di riconoscere quanto siamo interdipendenti gli uni dagli altri. Questo perché tutto ciò che impariamo e sperimentiamo lo dobbiamo alle nostre relazioni con gli altri; ogni interazione ha contribuito a condurci dove siamo oggi.
Ubuntu è un elemento fondamentale per vivere con coraggio, compassione e solidarietà e si contrappone alla convinzione che avidità, egoismo e individualismo siano tutto ciò che serve per avere successo nella vita. Attribuire Ubuntu a una persona è uno degli elogi più lusinghieri che si possano fare in quella cultura e fin da piccoli si viene esortati a metterlo in pratica in famiglia, con gli amici e anche con gli sconosciuti.
È importante riflettere sui modi nei quali la pratica quotidiana dell’Ubuntu può aiutarci a vivere vedendo in ogni interazione il potenziale per creare un ambiente più positivo. Ad esempio quando le persone si alleano per il bene collettivo, che ci insegna che se uniamo le forze possiamo affrontare meglio i problemi.
Per approfondire:
- Breve panoramica delle lingue africane;
- Mungi Ngomane, “Ubuntu. La via africana alla felicità“;
- Mungi Ngomane, “Everyday Ubuntu: Living better together, the African way“.
Meraki: la consapevolezza di esistere
Meraki è una parola di origine greca che letteralmente significa “essenza di noi stessi” e indica il fare qualcosa, che si tratti di una grande impresa o di un piccolo gesto quotidiano, con passione e dedizione e solitamente è associata ad attività creative. Si tratta di compiere un’attività mettendoci l’anima e tutto l’entusiasmo, è qualcosa di totalizzante.
Non ha a che fare con quanto facciamo ma con quanto amore ci mettiamo. Può trattarsi di preparare un buon pasto per le persone care, organizzare il proprio spazio di lavoro per avere un ambiente favorevole o aiutare un amico.
Meraki non è semplicemente il fare con amore, c’è dentro qualcosa di poetico della vita quotidiana, ha a che fare con la piena presenza dei gesti fatti con consapevolezza e non tanto per. Vivere con Meraki dovrebbe diventare una filosofia di vita in cui anche un gesto, anche il più semplice, può diventare il momento della giornata in cui siamo consapevoli di esistere. Fare qualcosa con Meraki rende tutto più bello e interessante.
È ciò che ci salva dai momenti difficili; un approccio Meraki è di supporto per il cambiamento ed è un ottimo esercizio che rovescia le visioni di vita negative.
Per approfondire:
Wabi Sabi: la bellezza nell’imperfezione
Il termine giapponese Wabi Sabi è composto da due parole che significano “semplicità” e “bellezza che deriva dallo scorrere del tempo“; fa riferimento a una sensibilità estetica che si è sviluppata fino a diventare una filosofia di vita in grado di aiutarci a trovare serenità, ispirazione e libertà nella vita quotidiana.
Secondo questo approccio, niente è eterno e la chiave sta nell’accettare la vita così come si presenta, imperfetta, incompiuta e mutevole. È un sentimento in grado di guidarci verso una vita più piena e significativa basata sull’autenticità.
Il Wabi Sabi lascia andare l’idea di giovinezza, nuovo, perfezione e dà invece maggior valore alla saggezza e alla bellezza matura, alle difficoltà, alla resilienza, al disordine e alla confusione che regna nelle nostre vite. Trovo che quest’idea abbia qualcosa di estremamente confortante.
Insegna ad apprezzare l’imperfezione e la bellezza non conforme in luoghi e oggetti inusuali e in momenti che solitamente trascuriamo, ad abbracciare il naturale trascorrere del tempo in cose materiali danneggiate così come nell’invecchiare.
Questo concetto supporta uno stile di vita modesto, che assapora il tempo trascorso nella natura e celebra l’apprezzamento per l’essenziale e non per il raggiungimento della perfezione, l’accettazione di noi stessi e delle nostre imperfezioni, l’essere soddisfatti di ciò che abbiamo per ottenere la pace interiore.
Applicare la filosofia Wabi Sabi in casa significa avvicinarsi a un approccio minimalista e selezionare pochi arredi di buona qualità in materiali naturali.
Per approfondire:
- Erin Niimi Longhurst, “Japonisme. Ikigai, bagno nella foresta, wabi-sabi e molto altro“;
- Tomás Navarro, “Wabi Sabi: Scoprire nell’imperfezione la bellezza delle cose“;
- Isabel Tohen, “Il Pensiero Giapponese“;
- Leonard Koren, “Wabi-sabi per artisti, designer, poeti e filosofi“;
- Nara Verri, “Wabi Sabi“;
- Beth Kempton, “Wabi sabi. La via giapponese a una vita perfettamente imperfetta“.
Nunchi: l’intelligenza emotiva
Nunchi (o Noon-chi) la combinazione delle parole “occhio” e “misura” ed è un concetto molto importante nella cultura coreana, in grado di descrivere un’intuizione su ciò che ci circonda. Questo termine descrive l’essere in sintonia con le emozioni e i pensieri di qualcun altro, la capacità di ascoltare e valutare gli stati d’animo altrui. Qualcuno con un buon noon-chi è in grado di leggere il linguaggio del corpo e il tono di voce degli altri e capire il loro reale stato d’animo. Al contrario, chi non ha un buon noon-chi manca di capacità di osservazione.
Nella cultura occidentale può essere associato all’empatia o, ancora meglio, all’intelligenza emotiva. Questo perché in Corea Nunchi non è soltanto un sostantivo ma rappresenta un vero e proprio stile di vita, tanto che la giornalista coreana Euny Hong nel 2019 ha pubblicato un libro dedicato. Si chiama Euny Hong, “The Power of Nunchi: The Korean Secret to Happiness and Success” e individua in Nunchi da una parte una caratteristica emotiva esistente nelle persone più attente all’ascolto e più sensibili e dall’altra una tecnica relativa alla crescita personale e quindi accessibile a tutti, secondo la quale basterebbe osservare e ascoltare davvero invece di limitarsi a vedere e sentire.
Non aspettatevi un testo di filosofia orientale ma piuttosto un supporto per utilizzare il concetto di Nunchi nella vita quotidiana e moderna, una chiave per capire le dinamiche delle relazioni interpersonali secondo l’ottica coreana ma applicabile anche nel proprio contesto di vita o lavorativo. Se ti incuriosisce la cultura coreana ti consiglio di leggere il mio post sulle Parole coreane intraducibili dal significato profondo.
Per approfondire:
- Euny Hong, “The Power of Nunchi: The Korean Secret to Happiness and Success” – edizione italiana “Il Potere del Nunchi”;
- Boye de Mente e Laura Kingdon, “The Korean Mind: Understanding Contemporary Korean Culture“;
Jugaad: mentalità flessibile e frugalità
Jugaad è un termine presente in diverse lingue indiane (come l’hindi ma non è l’unica) che descrive un processo di innovazione proveniente dal basso e in grado di creare soluzioni efficienti a costi contenuti. Gli innovatori Jugaad hanno un mindset flessibile in grado di mettere costantemente in discussione ciò che già esiste e di tenere aperte tutte le possibilità per trasformare prodotti, servizi e modelli di business.
L’Oxford English Dictionary riporta come definizione “un approccio flessibile alla risoluzione di problemi che utilizza risorse limitate in maniera innovativa“. Non si tratta solo di pensare fuori dagli schemi ma di crearne di nuovi e non convenzionali senza ricorrere a idee sofisticate o macchinose ma sviluppando soluzioni abbastanza buone da far portare a casa il risultato. In India rappresenta un vero e proprio modo di vivere.
I principi chiave della Jugaad quindi sono mentalità aperta, frugalità, semplicità creativa, capacità di trovare opportunità anche nelle avversità e di improvvisare soluzioni in un ambiente in continuo mutamento.
Per approfondire:
- Breve panoramica delle lingue dell’India;
- Navi Radjou e Jaiswwp Prabhu, “Jugaad innovation. Pensa frugale, sii flessibile, genera una crescita dirompente“.
Ho’oponopono: rimettere a posto le cose
Ho’oponopono è un concetto antico di origine hawaiana che ha a che fare con il trovare equilibrio e armonia con sé stessi facendo la cosa giusta, non solo per sé ma per l’ambiente che ci circonda. Il cuore di questa pratica è la riconciliazione e il perdono e la libertà dalle catene e dai fardelli del passato.
L’origine di questo termine viene dalle parole “ho’o” che significa “fare” e “pono” che significa “giusto“, in altre parole “rimettere le cose al proprio posto“. Si basa tutto sull’imparare a perdonare attraverso un processo di disconnessione dal rancore. La pratica può essere usata anche come esercizio per la nostra mente per distaccarci dalla negatività e riconnetterci con un sé più felice e sano.
Il termine Ho’oponopono oggi è diffuso ed è diventato sinonimo di una vera e propria filosofia di vita basata sul perdono e sull’accettazione. Accogliere Ho’oponopono nella propria vita significa accettare che tutto ciò che accade è stato prodotto dalla propria energia.
Per praticarlo occorre innanzitutto prendere coscienza dei nostri comportamenti negativi e delle nostre emozioni, di tutto ciò che ci separa dalle persone che amiamo e che hanno un certo impatto sul nostro benessere. Dobbiamo assumerci la responsabilità delle nostra azioni, di ciò che abbiamo detto e di ciò che abbiamo omesso, dei nostri errori e delle loro conseguenze.
Per approfondire:
Wu Wei: fluire con la vita
Wu Wei è un principio antico cinese, più precisamente taoista, che rappresenta in sostanza l’arte della non-azione; non si fa riferimento alla pigrizia ma si tratta più che altro della capacità di lasciar andare i propri conflitti per provare sollievo, “going with the flow“, seguire il flusso delle cose. Non significa sdraiarsi sulla riva del fiume ma piuttosto nuotare con la corrente.
È necessario comprendere la natura delle cose e come ogni cosa sia fatta a suo modo e abbia i propri tempi. In questo modo, quando agiamo lo facciamo in maniera strategica e allineata al flusso naturale delle cose mentre quando scegliamo di non agire stiamo preservando noi stessi per poi farlo quando necessario e in maniera più efficace.
In un mondo in cui l’operosità ottiene sempre la massima considerazione e in società che ci rendono saturi di attività, sensazioni e pensieri, la filosofia Wu Wei può sembrare inattuabile mentre invece a volte basterebbe lasciare che le forze esterne a noi agiscano senza spingerle o forzarle. Un po’ come un pianeta non decide che orbita seguire ma semplicemente va avanti e lascia che la forza di gravità agisca su di lui dandogli la direzione.
Una cosa importante: non si parla solo di fare meno ma anche di sentirci perfettamente a nostro agio pur non facendo il massimo e tutto ciò che potremmo. In ogni caso sarebbe impossibile avere sempre il controllo di tutto nella nostra vita.
In sostanza dovremmo tutti agire per una ragione e non per aggiustare qualcosa che potrebbe non essere neanche rotto. Dovremmo attendere e pensare prima di agire e non afferrare ogni singola opportunità che ci capita per le mani. Dovremmo imparare a delegare e permettere agli altri di influenzare le decisioni che prenderemo, dovremmo essere più disinteressati. E respirare.
Per approfondire:
- Wu Wei: l’arte della non azione;
- Jason Gregory, “Effortless Living: Wu-Wei and the Spontaneous State of Natural Harmony“;
- Theo Fischer, “Wu-wei. L’arte di vivere del tao“.
Fika: il rituale della socialità
Fika è spesso tradotto come “pausa caffè e dolce”, il che è corretto ma in realtà si tratta di molto più di questo. È uno stato mentale, un’attitudine e una parte importante della cultura svedese, tanto che molti svedesi ritengono essenziale trovare tempo per praticarla ogni giorno. E non ha nulla a che fare con pause frettolose che utilizzano la caffeina come benzina per tornare al lavoro più svegli e attivi.
Con il termine Fika si intende trascorrere del tempo con amici o colleghi e bere una tazza di caffè o tè, accompagnati a qualcosa da mangiare. Non è possibile fare questa esperienza seduti da soli alla scrivania, quello sarebbe semplicemente prendere un caffè e mangiare un dolce. Fika è più un rituale, un momento per mettere in pausa il lavoro e socializzare, svagare la mente e rafforzare le relazioni.
In Svezia le aziende che hanno introdotto questa abitudine come istituzionale sembrano avere team migliori e più produttivi. Non importa davvero cosa si beve o si mangia ma qualunque cosa scegliate per questo momento dovrebbe essere fresca, gradevole alla vista e idealmente fatta in casa.
Per approfondire:
- Lynda Balslev, “Little book of Fika“;
- Anna Brones, “Fika – The art of the Swedish coffee break, with recipes for pastries, breads, and other treats“;
- Tim Rayborn, “The Scandinavian Guide to Happiness – the nordic art of happy and balanced living with Fika, Lagom, Hygge, and more“.
Stili di vita dal mondo: per approfondire ancora
Oltre ai libri e ai link che vi ho segnalato per ciascuno dei concetti di cui ho parlato in questo post, ce ne sono altri più generici e quindi non focalizzati su un termine ma ne raggruppa vari in base al tema o al Paese di origine, oppure fa una mappa di vari differenti, anche illustrati. Vediamo quindi qualche altro libro di approfondimento sugli stili di vita dal mondo:
- Tim Lomas, “The Happiness Dictionary“;
- Tim Lomas, “Translating Happiness: A Cross-Cultural Lexicon of Well-Being“;
- Tim Lomas, “Happiness found in translation“;
- Megan Hayes, “The Happiness Passport: A world tour of joyful living in 50 words“;
- Megan Hayes, “The Serenity Passport: A world tour of peaceful living in 30 words“
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