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Discutere meglio Irene Facheris Creiamo Cultura Insieme

COME STO IMPARANDO A DISCUTERE MEGLIO – APPUNTI DI FEBBRAIO

Parliamo del libro "Creiamo cultura insieme" di Irene Facheris, di come discutere in maniera utile e costruttiva e di come diventare buoni ascoltatori. In fondo a questo lungo post trovate una bibliografia di approfondimento.

Questo mese per la rubrica Appunti parliamo di un libro. Nelle ultime settimane mi sono dedicata alla lettura di un testo piccino edito da Tlon ma denso di concetti importanti a proposito del discutere e di come farlo in maniera intelligente, positiva, utile, costruttiva e di come diventare buoni ascoltatori. Si tratta di “Creiamo cultura insieme. 10 cose da sapere prima di iniziare una discussione” di Irene Facheris.

Irene è originaria della mia stessa zona della provincia nord milanese e ha studiato psicologia in Bicocca (nome amichevole per l’Università degli Studi di Milano-Bicocca); è una formatrice specializzata in soft skill e tiene corsi sulla comunicazione e l’ascolto empatico; per anni ha pubblicato video sul suo canale YouTube Cimdrp all’interno della rubrica “Parità in Pillole”, sui temi legati alla diversity in vari ambiti, per Audible ha curato il podcast “Coming out: storie che vogliono uscire” ed è presidente dell’associazione Bossy che si occupa di parità.

Ma prima di tutto io la considero una stimabile divulgatrice di tematiche delicate, delle quali oggi più che mai serve parlare in termini semplici e comprensibili a tutti. Perché sempre più spesso purtroppo assistiamo a manifestazioni di intolleranza che talvolta sfocia anche in odio verso ciò che è differente (sotto vari aspetti) e in tanti casi si tratta di comportamenti e di pensieri basati su idee di altri e non comprese a fondo, sul sentito dire e sulla paura.

Il difficile ma importante lavoro che lei fa ogni giorno riguarda la formazione, che definisce come “rendere competenti” su certi temi, riguarda cioè il far conoscere cose, pensieri e dinamiche in modo da fornirci gli strumenti per aiutarci a creare un’opinione nostra e per essere persone migliori. A partire dalla comunicazione, dal modo in cui ci relazioniamo con gli altri e discutiamo con loro.

Cosa significa davvero discutere

Prima di raccontarvi come sto imparando a discutere meglio grazie alla lettura di questo libro e alle riflessioni che mi ha portato a fare, facciamo un passo indietro. Cosa significa davvero il verbo discutere? Perché spesso utilizziamo le parole in maniera imprecisa o errata, senza capire fino in fondo il reale significato. E dato che parleremo di comunicazione credo che in questo caso più che in altri sia fondamentale iniziare cercando di capire di cosa stiamo parlando.

Discutere può far riferimento all’esaminare attentamente e in maniera approfondita una questione, un problema o un argomento, da parte di due o più persone che espongono ciascuna il proprio punto di vista e possono esprimersi in accordo o dissenso sulle opinioni degli altri, allo scopo di arrivare a una decisione comune.

Oppure può essere inteso come avere uno scambio di idee e di opinioni anche senza lo scopo di giungere a specifiche conclusioni, come discutere una tesi di laurea. O ancora può riferirsi al mettere in dubbio la validità di un’opinione, fare delle obiezioni, mostrare delle riserve.

Sinonimi di discutere sono: dibattere, analizzare, esaminare, confutare, contestare. Ho volutamente evitato di inserire litigare perché mentre discutere è uno scambio di opinioni, più o meno acceso, tra persone disposte a comprendere il punto di vista dell’altro, litigare ha più a che fare con la volontà del singolo di avere ragione piuttosto che con un bisogno di confronto. Discutere non ha lo scopo di proclamare un vincitore.

Quelli che non amano discutere

Una volta una persona mi ha detto “io non amo discutere”. Ecco, esistono discussioni che sicuramente non meritano le nostre energie ma la vita è un continuo “negoziare” per poter coesistere in armonia e per mantenere relazioni affettive o lavorative. Le discussioni che vale la pena affrontare sono quelle che ci permettono di raggiungere equilibrio e serenità.

È impossibile eliminarle del tutto. E se abbiamo capito che non è necessario arrivare a litigare per esprimere le nostre ragioni, non abbiamo neanche motivo di volerle evitare a costo di evitare anche qualsiasi confronto. Non si tratta di voler sembrare persone miti, pacate e pacifiche.

Qualcuno mi chiama “polemica di secondo nome”. Ma anche qui, le parole contano. Io non amo le polemiche ma amo discutere, confrontarmi con punti di vista differenti e cercare di capirne le ragioni. Ma prima di poter fare critica (tra sé e sé, nella propria testa) sui pensieri e i comportamenti degli altri occorre fare moooolta autocritica. L’autocritica è il mio sport preferito.

Discutere meglio in maniera intelligente

Prima che qualcuno abbia l’idea di dare inizio a polemiche nate da fraintendimenti, specifico che non sto dando delle stupide alle persone che non discutono in maniera intelligente; il comportamento e le azioni di una persona non necessariamente definiscono la persona stessa. Non saper discutere in maniera intelligente non significa non essere intelligenti.

Per fortuna siamo sono molto di più del nostro comportamento e anche se in un dato momento ci comportiamo in un certo modo abbiamo tutte le potenzialità per essere molto meglio di così.

Nel titolo di questo post ho anticipato che non mi considero la regina della discussione intelligente ma che ora ho in parte capito come funzionano alcune dinamiche nella comunicazione e nella psicologia e quindi sto lavorando in quella direzione.

Come si discute in maniera intelligente?

In estrema sintesi possiamo definire il discutere in maniera intelligente e costruttiva come ascoltare, che è ben diverso da udire. Ma non è neanche così semplice, entrano in gioco diverse abilità, che possiamo sviluppare o affinare:

  • adeguata gestione emotiva;
  • ascolto empatico;
  • rispetto;
  • comprensione.

Prima di iniziare una discussione dovremmo sempre riflettete e domandarci se stiamo davvero cercando una soluzione o un accordo o se in realtà vogliamo solo ferire l’altra persona e sentirci potenti. Dovremmo anche spiegare in modo chiaro e diretto le nostre intenzioni e i nostri bisogni, oltre a ciò che ci aspettiamo dall’altro.

Come fare quindi?

  • sentire non significa ascoltare e l’ascolto empatico è l’unico a rendere funzionale un dialogo;
  • sforzarsi di capire e comprendere la prospettiva degli altri, senza necessariamente condividerla;
  • non mettersi sulla difensiva, diventare aggressivi e mettere dei muri;
  • migliorare l’autocontrollo e la gestione delle emozioni, ma prima bisogna sentirle, accoglierle, riconoscerle, dare loro un nome, comprenderle e utilizzarle. Diventare consapevoli delle proprie emozioni;

Le competenze relazionali non sono diverse dalle altre competenze, dobbiamo esercitarci e fare pratica. Ma prima è bene iniziare a conoscere la teoria dietro a queste cose. Il libro di Irene Facheris è un buon punto di inizio.

Discutere meglio Irene Facheris Creiamo Cultura Insieme

Cosa mi ha insegnato Irene Facheris sul discutere meglio

Il libro “Creiamo cultura insieme” è denso di concetti e se date un’occhiata alla bibliografia in fondo scoprirete che gli spunti di riflessione che fornisce provengono da autori, anche citati tra le sue pagine, che hanno scritto di psicanalisi, psicosociologia, psicologia organizzativa, psicologia sociale e umanistica, counseling.

Nelle opinioni lasciate da qualche lettore ad esempio su Amazon ho letto parole come “accozzaglia di concetti presi da altri”, cosa che tradisce il fatto di non aver letto le due paginette di premessa. Nessuno dice che Irene si sia inventata il metodo infallibile per discutere in maniera corretta. Il suo merito sta nel fatto che ha saputo mettere insieme questi concetti, riassumerli e spiegarli in maniera semplice e immediata, aggiungendo tanti esempi di vita quotidiana e utilizzando un linguaggio comune, in modo da risultare comprensibili davvero a tutti.

Se spesso non siamo in grado di controllare sentimenti di rabbia durante una discussione o se non riusciamo a metterci nei panni di chi abbiamo di fronte per provare a capire (magari anche senza condividere) il suo punto di vista, ha davvero senso leggere trattati di psicologia o teoria della comunicazione umana?

Forse è meglio iniziare da un testo come questo per imparare dinamiche complesse in maniera immediata e applicabili subito nella vita di tutti i giorni ed eventualmente poi andare ad approfondire le teorie che stanno dietro, se ci interessa.

Addentriamoci quindi un po’ più nello specifico di questi concetti, che poi sono regole di base della comunicazione, teorie di psicologia umanistica e indicazioni su come poter percepire il mondo intorno a noi. Alcune cose vi potranno sembrare scontate ma è sempre bene rimarcarle e magari si tratta di cose che abbiamo provato o messo in atto o osservato nel quotidiano ma concettualizzate da qualcuno (qui Irene ma prima di lei fior di studiosi) le rende concrete e reali.

Concetti generici

  • In una discussione le persone arrivano allo scontro perché partono dal presupposto che se loro hanno ragione allora chi sta loro davanti ha per forza torto. E probabilmente l’altra persona pensa la stessa cosa.
  • Possiamo smettere di ragionare in questo modo egocentrico senza rinunciare a far valere le nostre idee e ad esprimere le nostre emozioni.

Oggettività e soggettività

  • Come esseri umani impariamo a conoscere il mondo che ci circonda attraverso la percezione e i sensi, ma questi non ci dicono tutto sulla realtà. Non dovremmo avere la presunzione di credere di conoscere un’altra persona perché abbiamo tre filtri:
    • biologico – i nostri sensi hanno dei limiti e non poter vedere/sentire tutto significa che non abbiamo ogni punto di vista ma solo il nostro personale ma viviamo nell’illusione di conoscere tutto;
    • sociale – guardiamo la realtà con la nostra chiave di lettura e il nostro punto di vista. Vediamo qualcosa, facciamo qualche connessione e traiamo delle conclusioni;
    • personale – ognuno di noi ha il proprio punto di vista parziale. La realtà è solo ciò che appare ai nostri occhi e quello che scegliamo (inconsciamente) di vedere dice molto di noi.
       
  • Il meccanismo che ci porta dall’avere una visione parziale della realtà ma credere di conoscerla tutta avviene in tre passaggi:
    • selezione – ogni persona è composta da tanti frammenti e noi non li vediamo tutti e ne percepiamo solo alcuni. Ma non tutti diamo lo stesso significato a un certo frammento di una persona (interpretiamo in maniera personale) e selezioniamo ciò che percepiamo da ciò che non notiamo in base a criteri soggettivi e alla nostra storia, iniziando a creare la nostra versione di quella persona;
    • integrazione – i pochi frammenti che abbiamo percepito e interpretato in maniera soggettiva li integriamo con altri che ci sembrano coerenti attraverso deduzioni. Le idee alle quali arriviamo, anche qui, dicono molto più di noi che della persona che pensiamo di aver già inquadrato: parlano del nostro contesto, delle nostre mappe mentali, di pregiudizi e stereotipi;
    • fissazione – a questo punto continuiamo a vedere solo frammenti che confermano l’dea che ci siamo fatti della realtà.
       
  • Queste tre fasi sono utili in situazioni in cui è necessario autotutelarsi, ad esempio se si crede di essere in pericolo. Altrimenti dobbiamo intervenire volontariamente per far in modo di non giungere subito alla terza fase.
  • Dobbiamo saper distinguere tra soggettivo e oggettivo. Ognuno ha la propria soggettività ma non tutte hanno lo stesso valore in ogni situazione; se si tratta di gusti o opinioni generiche si ma se si entra nel campo delle competenze, dello studio, delle specializzazioni, allora alcune hanno più peso di altre.

Valutare, interpretare, giudicare

  • Partendo dall’idea che ci siamo fatti della realtà e di una persona sviluppiamo delle aspettative che però rischiano spesso di essere deluse perché hanno più a che fare con noi che con la persona in questione. Arriviamo così a fare delle valutazioni soggettive, perché basate sul fatto che la realtà abbia superato o deluso le nostra aspettative.
  • Sempre sulla base dell’idea che ci siamo fatti partendo da frammenti della realtà arriviamo a interpretare fatti e comportamenti e a ipotizzarne le ragioni. Di nuovo, come interpretiamo le cose parla di noi, delle nostre insicurezze, delle nostre convinzioni ancor prima che dei fatti.
  • Giudicare significa spostare il piano dall’osservazione, valutazione e interpretazione di un comportamento alla persona che attua quel comportamento.

Dare un feedback invece di giudicare

  • Il feedback (risposta) serve per capire se e come il messaggio che mandiamo è stato recepito. Dare un feedback a una persona serve a non arrivare subito al giudizio partendo dai pochi frammenti che di lei abbiamo, dopo averli selezionati e interpretati soggettivamente.
  • Il feedback può essere utile mentre il giudizio, positivo o negativo, no perché deriva da valutazioni fatte con criteri soggettivi. E il feedback è utile se permette di non arrivare al giudizio.
     
  • Feedback utile si compone di:
    • descrizione soggettiva del tuo comportamento;
    • come mi sono sentita in relazione al tuo comportamento;
    • comunico cosa come ho agito di conseguenza.
       
  • Quindi se mi sento dire qualcosa di spiacevole dovrei rispondere “Quando mi hai detto x e y mi sono sentita offesa e quindi non voglio continuare a parlare con te”. Probabilmente la persona si scuserà, mentre invece si sentirebbe accusato di avermi offesa volontariamente se io dicessi “Mi hai offesa!”.

Bisogni

  • Noi esseri umani siamo sempre interessati alle ragioni che spingono una persona ad agire in un certo modo; non vogliamo necessariamente conoscere le motivazioni ma dobbiamo interpretare le azioni per capire chi abbiamo davanti (o almeno chi crediamo).
  • Secondo il determinismo psichico di Freud, dietro a ogni comportamento c’è sempre una ragione ma non sempre ne siamo consapevoli. Cause e fini dei comportamenti sono i bisogni, che si distinguono in consapevoli e inconsapevoli ma sono sempre sacri, cioè non giudicabili in quanto non scegliamo di averli. Siamo solo responsabili del modo in cui scegliamo di soddisfarli. Tuttavia, il fatto di agire sul comportamento non fa scomparire il bisogno, che viene represso e non ascoltato ma non è annullato.
  • Siamo costantemente influenzati da bisogni inconsapevoli e possiamo trovarci ad avere due bisogni che però sono difficilmente compatibili.
  • La società ci indica quali bisogni possiamo o dobbiamo sentire e quali no; la nostra cultura ci orienta ma non dovrebbe determinarci.

Autorealizzazione

  • Ogni essere umano ha in sé una spinta naturale a sviluppare il suo essere, a sviluppare ciò che sente. In psicologia umanistica questa spinta si chiama tendenza attualizzante e ci orienta verso l’autorealizzazione, cioè verso la soddisfazine dei nostri bisogni profondi attraverso comportamenti efficaci.
  • Ognuno di noi ha questa capacità, che segue solo il suo essere più profondo e non le aspettative dei genitori o della società.
  • Il percorso verso l’autorealizzazione è spesso ostacolato perché nel corso della nostra vita avvengono cose che rendono difficile farlo, come i bisogni silenziati. Tuttavia la tendenza attualizzante non se ne va mai e possiamo riconnetterci con essa in qualunque momento.

Emozioni

  • È importante imparare ad ascoltare, riconoscere e vivere le proprie emozioni perché ci aiutano a capire se i bisogni che sentiamo sono nostri o ce li hanno imposti. Se ciò che faccio per soddisfare un certo bisogno mi crea disagio, allora forse quel bisogno non è mio.
  • Come i bisogni, anche le emozioni sono sacre perché non scegliamo quali provare o non provare. Quindi non ha senso colpevolizzarci se ci sentiamo in un modo e non in un altro. Non sono il risultato di una scelta.
  • Quando ci sentiamo dire cose come “sei esagerata”, “ti sei arrabbiata per niente” o “te la prendi troppo” finisce che impariamo a tenere le nostre emozioni nascoste, insieme ai bisogni silenziati. Giudicare un’emozione equivale a dire alla persona che la prova che è sbagliata; possiamo giudicare i comportamenti messi in atto da quell’emozione.
  • Può sembrarci difficile esprimere le nostre emozioni a parole ma di solito questo avviene quando ciò che dobbiamo nominare ci fa paura.

Capire, comprendere, condividere, giustificare

  • Capire – conoscere il significato delle parole utilizzate.
  • Comprendere – aver chiaro il senso delle parole, conoscere il punto di vista espresso da qualcuno.
  • Condividere – essere accomunati dallo stesso significato attribuito a ciò di cui si parla, essere d’accordo.
  • Giustificare – ritenere un atto privo di colpa o scusabile.
  • Se tutti avessimo chiaro in significato di questi concetti, nella realtà di tutti i giorni (che si tratti di una chiacchierata o di qualcosa scritto sui social network) non dovrebbe essere rischioso esprimere un punto di vista impopolare perché sapremmo di avere davanti persone pronte a comprendere pur non condividendo quello che diciamo.
  • Le persone, noi compresi, sono complesse, non hanno sempre comportamenti lineari tra loro. Provare a comprendere le azioni di una persona non significa essere d’accordo o addirittura giustificarle ma solo ricordarsi che dall’altra parate c’è un essere umano come noi, che è molto di più delle azioni che compie.

Empatia

  • Quello che noi definiamo comunemente come “empatia” è in realtà “simpatia”. Simpatia ha origine greca e letteralmente significa patire/provare emozione insieme, cioè essere in grado di provare sentimenti simili a quelli che sta provando un’altra persona.
  • Empatia – capacità di comprendere lo stato d’animo dell’altro pur non provandolo e non avendo mai vissuto una certa esperienza. Essere empatici significa avere una connessione emotiva con le persone. Cosa che caratterizza il lavoro degli psicologi.

Ascoltare davvero

  • Ascoltare davvero qualcuno che ci parla delle proprie emozioni significa mettere lui al centro e non noi. Ma le reazioni che abbiamo ascoltando spesso non vanno in quella direzione, ci vengono naturali ma non sono utili. Eccone alcune:
    • rassicurare;
    • criticare/giudicare;
    • fare la predica;
    • cambiare argomento;
    • indagare;
    • consolare;
    • interpretare;
    • consigliare.
       
  • Ecco alcuni esempi del perché non sono utili:
    • rassicurare dicendo “non ti preoccupare, vedrai che si sistema tutto” minimizza l’afflizione dell’altro, che si sente sottovalutato il proprio problema, si colpevolizza o diventa dipendente da quelle rassicurazioni che per qualche secondo lo hanno fatto sentire meglio;
    • giudicare non è mai utile perché lo si fa seguendo le proprie norme e i propri valori, che sono soggettivi;
    • indagare, fare domande per orientare il dialogo e che nascono da una ipotesi di chi dovrebbe ascoltare rende la persona da protagonista a spettatore del film di qualcun altro;
    • interpretare è sempre qualcosa di soggettivo ed è un comportamento mediato dalle proprie idee e convinzioni;
    • consigliare e fornire soluzioni mette di nuovo al centro chi dovrebbe ascoltare, che va a suggerire di fare ciò che lui farebbe. Inoltre la persona può diventare dipendente da chi dispensa soluzioni a tutto e si deresponsabilizza.
       
  • Ascolto empatico – ascoltare senza dare un parere per aiutare la persona a sviluppare se stessa e a crescere. Dimostra a chi parla di essere capito e compreso, senza bisogno di generare condivisione o giustificazioni.

Citazioni da annotare

Avendo acquistato questo libro invece di prenderlo in prestito in biblioteca, come faccio spesso, ho potuto sottolineare e annotare cose a matita durante la lettura prima di trascrivere il tutto nel mio quaderno digitale degli appunti. Ecco di seguito le citazioni più interessanti tra le cose che ha scritto Irene Facheris, di suo pugno o riportando concetti di altri espressi a parole sue perché fossero fruibili a tutti:

  • Arriva un punto nella vita in cui ti rendi conto che quella cosa che ti serve devi crearla tu perché nessuno lo farà al tuo posto;
  • Il bisogno di autorealizzarsi non ci abbandona mai; in qualunque momento della nostra vita possiamo riconnetterci a essa e provare a capire il senso e la direzione del nostro cammino;
  • Diventa la persona che vorresti incontrare – Cheri Huber;
  • Dovremmo scegliere di dirci che qualcosa non è facile e poi provare a farlo lo stesso.

Per approfondire

Qui trovate alcune tra le fonti alle quali Irene Facheris ha fatto riferimento nel suo libro più altre cose che aggiungo io:


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Chi sono
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Erica Ventura, fondatrice di StyleNotes.it, web writer, editor e blogger Amo il bello e provo a circondarmene in ogni aspetto della mia vita. Credo fermamente nell’utilità delle liste e che il mix vincente in ogni cosa sia composto da semplicità, equilibrio e un piccolo dettaglio a contrasto. La mia casa, il mio guardaroba e quel che metto nel piatto ne sono la conferma.

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